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Suinicoltura + Suinicultura

Articolo originale in Professione Suinicoltore di Ottobre 2019.

Il convegno recentemente organizzato da Boehringer Ingelheim, tenutosi presso le località di Pernumia (PD) e Cologne (BS) il 3 e il 4 ottobre rispettivamente, si è “tinto di rosa” in tutto e per tutto. In questa occasione, infatti, Boehringer ha voluto far conoscere il suo approccio innovativo alla gestione sanitaria in scrofaia dei più importanti patogeni responsabili delle problematiche riproduttive attraverso la voce di due donne: Tanja Opriessnig, professoressa presso l’Università di Edinburgo, e Marta Noguera, Manager Clinical R&D di Boehringer. La prima relatrice ha eloquentemente fornito un quadro generale delle principali patologie riproduttive nella scrofa, mentre la seconda ha introdotto il nuovissimo vaccino contro la parvovirosi lanciato da Boehringer, richiamato sul finire anche da Sofia Dias, Junior Product Manager di Boehringer, per concludere coerentemente questo convegno tutto “al femminile”.

In qualsiasi situazione, al di là della veterinaria, si sa che quando i problemi diventano visibili spesso è troppo tardi per cercare di risolverli. Lo stesso concetto è facilmente applicabile ai problemi riproduttivi nella scrofa, che, se causati da agenti infettivi, sono riferibili nell’80% dei casi al virus della PRRS (PRRSv), al virus della parvovirosi (PPV) o al circovirus (PCV2).

Tanja Opriessnig, prima di addentrarsi nella descrizione di questi tre agenti virali, ha voluto fornire delle nozioni generali e di base per quanto concerne le problematiche riproduttive. In particolare, per fallimento riproduttivo vengono identificati tutti gli episodi di infertilità, riassorbimenti, aborti, alto numero di suinetti nati deboli e disvitali, bassa portata al parto e alta percentuale di mummificati. Solitamente, in scrofaia, è tollerabile circa un 1-2% di aborti, ma se si supera il 3% e/o se gli aborti sono concentrati in un breve arco di tempo o in una singola area dell’allevamento, sarebbe consigliabile eseguire degli accertamenti diagnostici. Bisogna però prestare attenzione al tipo di campioni da portare all’istituto zooprofilattico, poiché, se una scrofa abortisce, non deve essersi innescata necessariamente un’infezione del feto, quindi non è detto che portando i feti abortiti in IZS si abbiano dei riscontri positivi. Se è la scrofa a stare male, quindi se, contestualmente all’aborto, la scrofa manifesta segni acuti di infezione, allora gli esami diagnostici, mediante un prelievo di sangue, saranno da indirizzare su di essa e non tanto sul materiale abortito.  Al contrario, se la scrofa non manifesta alcun segno di malattia al momento dell’aborto, allora vorrà dire che quest’ultimo è stato innescato da un’infezione che è arrivata al feto tramite il sangue materno, quindi, in questo caso, l’analisi dei feti abortiti o del fluido fetale toracico consentiranno un’adeguata diagnosi. Nello specifico, i segni clinici riscontrabili in caso di infezione virale fetale variano in base al periodo gestazionale intaccato dal virus, come mostrato in tabella 1.


Tabella 1. Segni clinici riscontrabili in caso di infezione virale fetale in base al periodo gestazionale
Periodo gestazionale Segni clinici fetali

1-30 gg

Morte e riassorbimento embrionale
Confondibile con infertilità
30-70 gg Morte fetale, autolisi, mummificati e aborto
I mummificati possono essere tra i 3 e i 17 cm

> 70 gg

Covate miste con nati vivi e nati morti
La sierologia può essere positiva (formazione di immunità)

La professoressa Opriessnig ha poi fatto seguito con la spiegazione dei tre virus più comunemente imputabili alle malattie riproduttive infettive, ovvero i già citati PRRSv, PPV e PCV2, oltre a nominare anche Erysipelothrix Rhusiopathiae, il batterio responsabile del mal rossino, che annovera anch’esso l’aborto tra i suoi sintomi. La maggior attenzione è stata però focalizzata sul PPV, quindi sul virus responsabile della parvovirosi, fulcro centrale della giornata di incontro con Boehringer Ingelheim. PPV è un virus ubiquitario, ovvero costantemente presente nell’ambiente circostante, di conseguenza difficile da eliminare. Sono stati identificati 7 tipi diversi di virus, ma il PPV1, oltre ad essere stato il primo identificato in Germania nel 1965, è anche il più conosciuto e sicuramente il più coinvolto nei problemi di ordine riproduttivo nella scrofa. L’infezione da parte del virus non dà segni clinici acuti ed evidenti sulla scrofa, ma si ripercuote indirettamente sulle sue performance e sulla sua nidiata, soprattutto nelle scrofette e nelle primipare. In particolare, si registra un aumento dei ritorni in estro, di aborti, di scrofe vuote e parti languidi, oltre a provocare nidiate poco numerose, meno feti vitali e una maggiore percentuale di nati morti e di mummificati (> 1% per parto), i quali quest’ultimi si presentano “in scala” come dimensioni (Foto 1).

Esempio di nati morti e mummificati a causa parvovirosi

Oggi, comunque, non è molto frequente riscontrare quadri drammatici di parvovirosi in scrofaia, a meno che non ci sia alla base qualche problema di tipo vaccinale. I vaccini presenti oggi in commercio sono inattivati e conferiscono una copertura anticorpale passiva di lunga durata, mentre il test sierologico più comunemente utilizzato in diagnostica è il test di inibizione dell’emoagglutinazione, che però non consente di distinguere i soggetti realmente positivi per l’esposizione all’infezione virale da quelli positivi perché vaccinati.

 

La parola è poi passata a Marta Noguera, la quale ha esordito chiedendo “Perché è necessario un nuovo vaccino contro la parvovirosi?”. In realtà, come ci spiega la relatrice, la risposta è più semplice e intuitiva di quanto si possa pensare: semplicemente perché il virus, negli ultimi 10 anni, è cambiato! Quindi, Boehringer Ingelheim ha pesato di cambiare anche lei qualcosa nel processo produttivo del vaccino, in modo da rendere più efficace e più sicura l’immunizzazione verso PPV.

Sono due le principali novità legate al nuovo vaccino di Boehringer: invece di ideare un altro vaccino a corpo intero, come lo sono tutti gli altri vaccini contro PPV presenti in commercio, Boehringer ha ben pensato di esprimere solo una proteina strutturale del virus, chiamata VP2, ideando così un vaccino sub-unitario. Inoltre, è stato utilizzato un innovativo processo di purificazione chiamato DiaTec, che permette di eliminare tutti i detriti cellulare residuali virucidi, consentendo così un sicuro miscelamento con il vaccino Boehringer della PRRS.

Procedendo con ordine e spiegando più nel dettaglio queste due importanti novità, è bene iniziare a comprendere il concetto che la scelta di utilizzare come proteina chiave del vaccino la proteina strutturale VP2 è stata dettata dal fatto che, contro di essa, sono indirizzati più del 90% degli anticorpi neutralizzanti PPV e che, nonostante le continue mutazioni del virus riscontrate negli ultimi 30 anni, la VP2 è quella rimasta meglio conservata all’interno dei ceppi di campo attuali. È anche vero che i vaccini a corpo intero esprimono anch’essi la VP2, ma in questa situazione la proteina non è in grado di richiamare così tanti anticorpi neutralizzanti come quando utilizzata da sola. Tornando al processo produttivo del vaccino, la proteina VP2 viene fatta sintetizzare da un baculovirus (famiglia di virus usata in biologia per produrre proteine ricombinanti), non patogeno, che produce particelle antigeniche virus-like (VLPs). Il processo prosegue poi con una iniziale purificazione, ovvero una separazione di proteine non specifiche e detriti cellulari, lascando solo i VLPs purificati, per poi applicare il sopra citato processo DiaTec, che rimuove anche i componenti residuali da VLPs, ottenendo così un vaccino costituito solo da queste particelle antigeniche, molto immunogeno e non virucida quando miscelato con altri vaccini vivi.

Boehringer Ingelheim ha dimostrato anche una maggiore efficacia e sicurezza del suo nuovo vaccino a confronto con altri vaccini attualmente presenti in commercio. In particolare, si è dimostrato che esso è in grado di proteggere la progenie dall’infezione transplacentare provocata da PPV, grazie ad uno studio di campo fatto vaccinando le scrofe con diversi vaccini esistenti contro la parvovirosi, oltre al vaccino Boehringer, e infettando le scrofe a 40 giorni di gestazione, quando il feto non è ancora immunocompetente (l’immunità dei feti inizia a svilupparsi dopo i 70 giorni di gravidanza). Rispetto ad altri vaccini, quello di Boehringer ha ridotto la morte fetale, intesa come feti mummificati e autolitici, dal 96,4% allo 0%, indicando una protezione del 100% contro l’infezione da PPV. Inoltre, è stato dimostrato che questo vaccino alza la media dei feti sani per scrofa, fino a 2,5 suinetti in più, e che, di conseguenza, si ha una maggiore percentuale di scrofe con più di 11 feti sani per covata.

Per quanto riguarda la sicurezza, invece, l’adiuvante utilizzato per la produzione del vaccino, massimizza l’immunità senza indurre reazione avverse, riscontrabili invece con l’utilizzo di altri vaccini contro la parvovirosi. Secondo uno studio condotto da Boehringer Ingelheim, infatti, il nuovo vaccino non ha dimostrato reazioni avverse dopo la rivaccinazione, mentre sono state riscontrate utilizzando altri vaccini nel 21% e 50% delle scrofette. Questo dimostra che dosi ripetute del vaccino Boehringer sono sicure per l’utilizzo in animali di diversi stadi del ciclo riproduttivo.

Infine, come già accennato, grazie al processo DiaTec, esiste la possibilità di miscelare il nuovo vaccino contro la parvovirus insieme al vaccino Boehringer contro la PRRS (stabile per 8 ore), dimostrandosi in grado di proteggere le scrofette gravide e avere un impatto positivo sul numero di suinetti nati vivi, nati morti, disvitali e mummificati, sulla proporzione di suinetti infetti da PRRS alla nascita e sul miglioramento significativo delle performance di accrescimento fino allo svezzamento, con riduzione della mortalità. È stato quindi dimostrato che l’efficacia in campo del vaccino Boehringer Ingelheim contro la PRRS da solo o miscelato con il vaccino Boehringer contro PPV è perfettamente identica. Il nuovo vaccino può essere utilizzato a partire da 5 mesi di età (2 ml intramuscolo nel collo), con insorgenza dell’immunità dall’inizio della gestazione e durata dell’immunità di 6 mesi. Boehringer Ingelheim consiglia infatti il suo utilizzo due volte all’anno mediante vaccinazioni di massa, associandovi 2 delle 3-4 vaccinazioni contro la PRRS consigliate sempre da Boehringer.

 

L’importante messaggio che Boehringer Ingelheim vuole far trasparire è l’importanza di adattarsi ai cambiamenti che avvengono intorno a noi, poiché l’innovazione è sempre garante del miglioramento scientifico e, di riflesso, del miglioramento sanitario.