Ultimi eventi https://suivet.it/pubblicazioni-ed-eventi-esterni.aspx http://www.rssboard.org/rss-specification mojoPortal Blog Module it-IT 120 no La flessibilità in scrofaia: nuovo vaccino contro parvovirus

Articolo originale in Professione Suinicoltore di Ottobre 2019.

Il convegno recentemente organizzato da Boehringer Ingelheim, tenutosi presso le località di Pernumia (PD) e Cologne (BS) il 3 e il 4 ottobre rispettivamente, si è “tinto di rosa” in tutto e per tutto. In questa occasione, infatti, Boehringer ha voluto far conoscere il suo approccio innovativo alla gestione sanitaria in scrofaia dei più importanti patogeni responsabili delle problematiche riproduttive attraverso la voce di due donne: Tanja Opriessnig, professoressa presso l’Università di Edinburgo, e Marta Noguera, Manager Clinical R&D di Boehringer. La prima relatrice ha eloquentemente fornito un quadro generale delle principali patologie riproduttive nella scrofa, mentre la seconda ha introdotto il nuovissimo vaccino contro la parvovirosi lanciato da Boehringer, richiamato sul finire anche da Sofia Dias, Junior Product Manager di Boehringer, per concludere coerentemente questo convegno tutto “al femminile”.

In qualsiasi situazione, al di là della veterinaria, si sa che quando i problemi diventano visibili spesso è troppo tardi per cercare di risolverli. Lo stesso concetto è facilmente applicabile ai problemi riproduttivi nella scrofa, che, se causati da agenti infettivi, sono riferibili nell’80% dei casi al virus della PRRS (PRRSv), al virus della parvovirosi (PPV) o al circovirus (PCV2).

Tanja Opriessnig, prima di addentrarsi nella descrizione di questi tre agenti virali, ha voluto fornire delle nozioni generali e di base per quanto concerne le problematiche riproduttive. In particolare, per fallimento riproduttivo vengono identificati tutti gli episodi di infertilità, riassorbimenti, aborti, alto numero di suinetti nati deboli e disvitali, bassa portata al parto e alta percentuale di mummificati. Solitamente, in scrofaia, è tollerabile circa un 1-2% di aborti, ma se si supera il 3% e/o se gli aborti sono concentrati in un breve arco di tempo o in una singola area dell’allevamento, sarebbe consigliabile eseguire degli accertamenti diagnostici. Bisogna però prestare attenzione al tipo di campioni da portare all’istituto zooprofilattico, poiché, se una scrofa abortisce, non deve essersi innescata necessariamente un’infezione del feto, quindi non è detto che portando i feti abortiti in IZS si abbiano dei riscontri positivi. Se è la scrofa a stare male, quindi se, contestualmente all’aborto, la scrofa manifesta segni acuti di infezione, allora gli esami diagnostici, mediante un prelievo di sangue, saranno da indirizzare su di essa e non tanto sul materiale abortito.  Al contrario, se la scrofa non manifesta alcun segno di malattia al momento dell’aborto, allora vorrà dire che quest’ultimo è stato innescato da un’infezione che è arrivata al feto tramite il sangue materno, quindi, in questo caso, l’analisi dei feti abortiti o del fluido fetale toracico consentiranno un’adeguata diagnosi. Nello specifico, i segni clinici riscontrabili in caso di infezione virale fetale variano in base al periodo gestazionale intaccato dal virus, come mostrato in tabella 1.


Tabella 1. Segni clinici riscontrabili in caso di infezione virale fetale in base al periodo gestazionale
Periodo gestazionale Segni clinici fetali

1-30 gg

Morte e riassorbimento embrionale
Confondibile con infertilità
30-70 gg Morte fetale, autolisi, mummificati e aborto
I mummificati possono essere tra i 3 e i 17 cm

> 70 gg

Covate miste con nati vivi e nati morti
La sierologia può essere positiva (formazione di immunità)

La professoressa Opriessnig ha poi fatto seguito con la spiegazione dei tre virus più comunemente imputabili alle malattie riproduttive infettive, ovvero i già citati PRRSv, PPV e PCV2, oltre a nominare anche Erysipelothrix Rhusiopathiae, il batterio responsabile del mal rossino, che annovera anch’esso l’aborto tra i suoi sintomi. La maggior attenzione è stata però focalizzata sul PPV, quindi sul virus responsabile della parvovirosi, fulcro centrale della giornata di incontro con Boehringer Ingelheim. PPV è un virus ubiquitario, ovvero costantemente presente nell’ambiente circostante, di conseguenza difficile da eliminare. Sono stati identificati 7 tipi diversi di virus, ma il PPV1, oltre ad essere stato il primo identificato in Germania nel 1965, è anche il più conosciuto e sicuramente il più coinvolto nei problemi di ordine riproduttivo nella scrofa. L’infezione da parte del virus non dà segni clinici acuti ed evidenti sulla scrofa, ma si ripercuote indirettamente sulle sue performance e sulla sua nidiata, soprattutto nelle scrofette e nelle primipare. In particolare, si registra un aumento dei ritorni in estro, di aborti, di scrofe vuote e parti languidi, oltre a provocare nidiate poco numerose, meno feti vitali e una maggiore percentuale di nati morti e di mummificati (> 1% per parto), i quali quest’ultimi si presentano “in scala” come dimensioni (Foto 1).

Esempio di nati morti e mummificati a causa parvovirosi

Oggi, comunque, non è molto frequente riscontrare quadri drammatici di parvovirosi in scrofaia, a meno che non ci sia alla base qualche problema di tipo vaccinale. I vaccini presenti oggi in commercio sono inattivati e conferiscono una copertura anticorpale passiva di lunga durata, mentre il test sierologico più comunemente utilizzato in diagnostica è il test di inibizione dell’emoagglutinazione, che però non consente di distinguere i soggetti realmente positivi per l’esposizione all’infezione virale da quelli positivi perché vaccinati.

 

La parola è poi passata a Marta Noguera, la quale ha esordito chiedendo “Perché è necessario un nuovo vaccino contro la parvovirosi?”. In realtà, come ci spiega la relatrice, la risposta è più semplice e intuitiva di quanto si possa pensare: semplicemente perché il virus, negli ultimi 10 anni, è cambiato! Quindi, Boehringer Ingelheim ha pesato di cambiare anche lei qualcosa nel processo produttivo del vaccino, in modo da rendere più efficace e più sicura l’immunizzazione verso PPV.

Sono due le principali novità legate al nuovo vaccino di Boehringer: invece di ideare un altro vaccino a corpo intero, come lo sono tutti gli altri vaccini contro PPV presenti in commercio, Boehringer ha ben pensato di esprimere solo una proteina strutturale del virus, chiamata VP2, ideando così un vaccino sub-unitario. Inoltre, è stato utilizzato un innovativo processo di purificazione chiamato DiaTec, che permette di eliminare tutti i detriti cellulare residuali virucidi, consentendo così un sicuro miscelamento con il vaccino Boehringer della PRRS.

Procedendo con ordine e spiegando più nel dettaglio queste due importanti novità, è bene iniziare a comprendere il concetto che la scelta di utilizzare come proteina chiave del vaccino la proteina strutturale VP2 è stata dettata dal fatto che, contro di essa, sono indirizzati più del 90% degli anticorpi neutralizzanti PPV e che, nonostante le continue mutazioni del virus riscontrate negli ultimi 30 anni, la VP2 è quella rimasta meglio conservata all’interno dei ceppi di campo attuali. È anche vero che i vaccini a corpo intero esprimono anch’essi la VP2, ma in questa situazione la proteina non è in grado di richiamare così tanti anticorpi neutralizzanti come quando utilizzata da sola. Tornando al processo produttivo del vaccino, la proteina VP2 viene fatta sintetizzare da un baculovirus (famiglia di virus usata in biologia per produrre proteine ricombinanti), non patogeno, che produce particelle antigeniche virus-like (VLPs). Il processo prosegue poi con una iniziale purificazione, ovvero una separazione di proteine non specifiche e detriti cellulari, lascando solo i VLPs purificati, per poi applicare il sopra citato processo DiaTec, che rimuove anche i componenti residuali da VLPs, ottenendo così un vaccino costituito solo da queste particelle antigeniche, molto immunogeno e non virucida quando miscelato con altri vaccini vivi.

Boehringer Ingelheim ha dimostrato anche una maggiore efficacia e sicurezza del suo nuovo vaccino a confronto con altri vaccini attualmente presenti in commercio. In particolare, si è dimostrato che esso è in grado di proteggere la progenie dall’infezione transplacentare provocata da PPV, grazie ad uno studio di campo fatto vaccinando le scrofe con diversi vaccini esistenti contro la parvovirosi, oltre al vaccino Boehringer, e infettando le scrofe a 40 giorni di gestazione, quando il feto non è ancora immunocompetente (l’immunità dei feti inizia a svilupparsi dopo i 70 giorni di gravidanza). Rispetto ad altri vaccini, quello di Boehringer ha ridotto la morte fetale, intesa come feti mummificati e autolitici, dal 96,4% allo 0%, indicando una protezione del 100% contro l’infezione da PPV. Inoltre, è stato dimostrato che questo vaccino alza la media dei feti sani per scrofa, fino a 2,5 suinetti in più, e che, di conseguenza, si ha una maggiore percentuale di scrofe con più di 11 feti sani per covata.

Per quanto riguarda la sicurezza, invece, l’adiuvante utilizzato per la produzione del vaccino, massimizza l’immunità senza indurre reazione avverse, riscontrabili invece con l’utilizzo di altri vaccini contro la parvovirosi. Secondo uno studio condotto da Boehringer Ingelheim, infatti, il nuovo vaccino non ha dimostrato reazioni avverse dopo la rivaccinazione, mentre sono state riscontrate utilizzando altri vaccini nel 21% e 50% delle scrofette. Questo dimostra che dosi ripetute del vaccino Boehringer sono sicure per l’utilizzo in animali di diversi stadi del ciclo riproduttivo.

Infine, come già accennato, grazie al processo DiaTec, esiste la possibilità di miscelare il nuovo vaccino contro la parvovirus insieme al vaccino Boehringer contro la PRRS (stabile per 8 ore), dimostrandosi in grado di proteggere le scrofette gravide e avere un impatto positivo sul numero di suinetti nati vivi, nati morti, disvitali e mummificati, sulla proporzione di suinetti infetti da PRRS alla nascita e sul miglioramento significativo delle performance di accrescimento fino allo svezzamento, con riduzione della mortalità. È stato quindi dimostrato che l’efficacia in campo del vaccino Boehringer Ingelheim contro la PRRS da solo o miscelato con il vaccino Boehringer contro PPV è perfettamente identica. Il nuovo vaccino può essere utilizzato a partire da 5 mesi di età (2 ml intramuscolo nel collo), con insorgenza dell’immunità dall’inizio della gestazione e durata dell’immunità di 6 mesi. Boehringer Ingelheim consiglia infatti il suo utilizzo due volte all’anno mediante vaccinazioni di massa, associandovi 2 delle 3-4 vaccinazioni contro la PRRS consigliate sempre da Boehringer.

 

L’importante messaggio che Boehringer Ingelheim vuole far trasparire è l’importanza di adattarsi ai cambiamenti che avvengono intorno a noi, poiché l’innovazione è sempre garante del miglioramento scientifico e, di riflesso, del miglioramento sanitario.

 

 

 


Dott.ssa Giusy Romano
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https://suivet.it/la-flessibilità-in-scrofaia-nuovo-vaccino-contro-parvovirus.aspx romano@suivet.it (Dott.ssa Giusy Romano) https://suivet.it/la-flessibilità-in-scrofaia-nuovo-vaccino-contro-parvovirus.aspx https://suivet.it/la-flessibilità-in-scrofaia-nuovo-vaccino-contro-parvovirus.aspx Wed, 23 Oct 2019 07:30:00 GMT
Soluzioni per far lavorare meglio l'intestino dei nostri suini

 Il 5 e 6 giugno 2019, Huvepharma ha avuto come ospiti presso la location di Pravets (Bulgaria) veterinari, e non solo, provenienti da tutta Europa, al fine di proporre delle soluzioni pratiche ai problemi intestinali, avvalendosi di diversi relatori che hanno riportato le proprie esperienze in merito all’argomento.

Ad aprire le danze è stato il Dottor Robert Hoste, senior pig production economist, il quale ha affrontato la situazione economica dell’industria suinicola e nel mondo, sottolineando come il costo delle malattie c’è ed è tangibile (Tabella 1). Una corretta gestione manageriale è quindi necessaria per abbattere i costi scaturiti dall’insorgenza di patologie, tra cui, le infezioni parassitarie e le problematiche enteriche.

In particolare, Peter Geldhof, professore di parassitologia dell’Università di Gent (BE), ha approfondito il discorso sulle infezioni parassitarie, con particolare attenzione ad Ascaris suum; queste forme sono purtroppo sottostimate a causa della loro natura subclinica, ma in realtà sono onnipresenti e la loro prevalenza risulta elevata sia nelle scrofe che nei suini all’ingrasso. L’infezione da Ascaris suum comporta conseguenze economiche non desiderabili in allevamento, quali la diminuzione dell’accrescimento ponderale giornaliero, l’aumento dell’indice di conversione dell’alimento, la diminuzione della percentuale di carne magra, l’aumento della mortalità, lo scarto dei fegati al macello e l’aumento dei costi per il trattamento dei soggetti affetti. Per tutti questi motivi, Huvepharma propone come soluzione il fenbendazole, una molecola antielmintica in grado di combattere tutti gli stadi di Ascaris suum (forma adulta, intestinale e larvale), con la raccomandazione di ripetere il trattamento ogni 6 settimane (3 mesi per le scrofe) al fine di ottenere benefici economici importanti. Tale strategia antiparassitaria si è infatti dimostrata utile nel migliorare in maniera significativa le performance dei soggetti trattati, con un ritorno economico dell’investimento di ben 9 €. Questo è reso possibile grazie ad una riduzione dell’indice di conversione dell’alimento (- 5%), ad un aumento dell’incremento ponderale giornaliero (+ 5%) e ad una migliore classificazione delle carcasse (+ 3%), oltre ad una minore contaminazione dei fegati, che non vengono scartati al macello, e ad una riduzione dei costi di medicazione per il trattamento di infezioni respiratorie e intestinali secondarie alla parassitosi.

Costo per animale

Patologie endemiche 30-40 €
Patologie respiratorie 4-7 € per patologia
Patologie enteriche 3-5 € per patologia
Parassiti fino a 7 e per animale colpito
Fallimenti riproduttivi 4-11 € per scrofa
Zoppia fino a 180 € per scrofa azzoppata
MMA 10 e per suino prodotto

Tabella 1: Costo per animale in base alla patologia di interesse

Altro importante e ricorrente problema nella stragrande maggioranza degli allevamenti è la presenza di diarrea da E. Coli, di cui Roberto Bardini, species manager dei suini, parla nella sua relazione, insieme ad altri numerosi disordini enterici che colpiscono i nostri suini durante l’intero corso della loro vita. In particolare, i suinetti sotto-scrofa con sintomi evidenti di E. Coli, come la produzione di diarrea liquida giallastra e repentino dimagrimento ed emaciazione dei soggetti colpiti, sono necessariamente e immediatamente da trattare, pena la perdita sicura dell’animale, ma il problema, oggi come oggi, diventa: “Sì, trattare… Ma con cosa?”. A causa delle pressioni ricevute nell’ultimo periodo in merito all’utilizzo di colistina e/o enrofloxacina, Huvepharma propone una molecola alternativa: la paromomicina solfato, in soluzione orale o da miscelare in latte o acqua da bere, specifica per il trattamento delle infezioni gastro-intestinali causate da E. Coli. Tale prodotto ha anche riportato un guadagno di peso durante la lattazione e una minore mortalità rispetto ad un trattamento effettuato con la colistina.

Wouter Van der Veken, global product manager probiotics, altro valido relatore del convegno, ha invece sottolineato l’importanza dell’utilizzo dei probiotici, ovvero microrganismi viventi da aggiungere all’alimento in grado di dare benefici all’ospite, migliorandone l’equilibrio microbico intestinale. A tal proposito, la soluzione di Huvepharma consiste nell’utilizzo di Clostridium butyricum  come probiotico, in quanto dotato di molte attività utili, quali: prevenire la colonizzazione dei patogeni attraverso l’adesione all’epitelio intestinale, avere effetti antagonisti diretti contro diversi patogeni intestinali, inibire la crescita microbica grazie alla produzione di acido acetico e ultimo, ma non meno importante, instaurare attività antimicrobiche e anti-infiammatorie grazie alla produzione di acido butirrico.

Inoltre, Van der Veken affronta anche la questione degli enzimi digestivi, sostanze in grado di rendere più disponibili i nutrienti contenuti in un alimento e, nel contempo, di mantenere la salute intestinale. In questo caso, Huvepharma fornisce un complesso enzimatico digestivo in grado di superare gli effetti anti-nutrizionali di molte frazioni NSP (Polisaccaridi Non Amidacei), che sono presenti comunemente nella maggior parte delle diete convenzionali, aumentando l’utilizzazione dei nutrienti, con conseguente riduzione dei costi del mangime, e migliorando l’accrescimento sia dei suini in svezzamento che all’ingrasso.

Le sfide che l’intestino dei nostri suini deve affrontare sono molteplici e di diversa entità, ed è per questo motivo che l’uomo deve sfruttare tutti gli strumenti in suo possesso al fine di mantenere un corretto equilibrio della microflora intestinale.

 

 


Dott.ssa Giusy Romano
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https://suivet.it/soluzioni-per-far-lavorare-meglio-lintestino-dei-nostri-suini.aspx romano@suivet.it (Dott.ssa Giusy Romano) https://suivet.it/soluzioni-per-far-lavorare-meglio-lintestino-dei-nostri-suini.aspx https://suivet.it/soluzioni-per-far-lavorare-meglio-lintestino-dei-nostri-suini.aspx Tue, 25 Jun 2019 04:49:00 GMT
Una giornata dedicata alla leptospirosi suina: da come si diffonde a come prevenirla
Foto1: Immagini dal convegno



 
 

Si è tenuto lo scorso 22 febbraio 2019 a Pozzolengo del Garda (BS), un workshop organizzato da MSD Animal Health riguardante la prevenzione delle problematiche riproduttive, con particolare attenzione alla Leptospirosi, patologia batterica spesso trascurata, ma ancora assolutamente attuale (Foto 1).

 

La giornata ha avuto inizio con la relazione di Miquel Collell, Global Technical Director Swine di MSD Animal Health, che ha discusso dell’importanza dei dati riproduttivi aziendali, lasciando poi la parola a Mario D’Incau, dirigente del laboratorio di batteriologia specializzata presso l’IZSLER, nonché centro di referenza nazionale per le leptospirosi animali, il quale ha fatto il punto della situazione italiana relativamente alla Leptospirosi suina. Nel pomeriggio, Marco Terreni, Regional Director Swine di MSD Animal Health, ha presentato un approccio innovativo alla prevenzione vaccinale in scrofaia mediante la tripla protezione dei riproduttori da Mal Rosso, Parvovirus e Leptospira. Infine, è stato dato spazio ad un workshop, in cui gli invitati hanno potuto scambiarsi idee e opinioni riguardo agli argomenti trattati nel corso della giornata.

 

 
L’importanza dei dati riproduttivi aziendali

Dopo una breve introduzione sulla fisiologia della fecondazione e della gestazione nella scrofa, con particolare attenzione ai momenti più delicati, in cui potrebbero verificarsi dei problemi per l’instaurarsi, la prosecuzione ed in generale il successo di una gravidanza, Miquel Collell ha voluto rimarcare più volte l’importanza dei dati aziendali nella risoluzione dei problemi riproduttivi. I dati da analizzare, a cui fa riferimento il relatore, sono, per esempio, la portata al parto, gli aborti, le vuote al parto, i parti anticipati e i ritorni precoci e tardivi, in ciclo e fuori ciclo. Alcuni valori di riferimento citati da Collell sono illustrati in Tabella 1.

 

Dati riproduttivi aziendali Dato fisiologico Limite per l'intervento
Portata al parto > 87% Minimo = 85%
Aborti 0% Massimo = 2%
Vuote al parto < 1% Massimo = 1%
Parti anticipati < 1% Massimo = 1%
Ritorni totali < 12% Massimo = 15%
Ritorni precoci 0% Massimo = 1%
Ritorni in ciclo < 10% Massimo = 12%
Ritorni fuori ciclo < 2% Massimo = 3%

 Tabella 1. Valori di riferimento dei principali dati riproduttivi aziendali riscontrabili in allevamento.

Il passo successivo all’analisi dei dati riproduttivi è la loro trasformazione in dati economici: ogni allevamento si deve porre degli obbiettivi al fine di migliorare i propri dati riproduttivi e, di conseguenza, le proprie entrate economiche. Tali obbiettivi, però, non possono essere uguali per tutti, in quanto ogni allevamento presenta una propria realtà aziendale, in base alla genetica, alle condizioni sanitarie e alla gestione manageriale presenti. Miquel Collell riporta un esempio in merito alla portata al parto: l’ideale per ogni allevamento sarebbe una portata al parto superiore all’87%, ma non si può pensare di imporre un simile obbiettivo all’interno di una realtà aziendale in cui il dato attuale non supera il 70%. In una realtà simile, con dati riproduttivi simili, l’asticella deve essere posta un po’ più in basso e man mano alzata con l’ottenimento dei primi traguardi, fino al raggiungimento dell’ideale 87%, solo al termine di un percorso.

Attraverso l’analisi dei dati aziendali, inoltre, è possibile fare delle riflessioni sul peso economico che i problemi riproduttivi possono avere in azienda. Ad esempio, allevamenti con una situazione non controllata di Leptospirosi, hanno mostrato dei parametri produttivi peggiori rispetto ad allevamenti con Leptospirosi controllata (meno nati vivi, più nati morti, più aborti, minore portata al parto) e dei costi decisamente superiori. In particolare, gli studi riportati da Collell, hanno evidenziato che mediamente il ritorno economico degli interventi effettuati per controllare la Leptospira, è di 8 a 1. Ovvero per ogni dollaro speso in prevenzione, sono 8 quelli che “tornano in tasca”, rispetto ad una situazione non controllata, in termini di maggiore efficienza riproduttiva e minori costi di terapia o altri costi correlati all’infezione. Risulta quindi evidente che l’impatto economico di questa patologia non è da trascurare.

 

La Leptospirosi in Italia

Mario D’Incau, secondo relatore della giornata, si è dedicato alla descrizione della Leptospirosi (Foto 2), partendo da informazioni generali che la riguardano, per poi addentrarsi nella diagnostica e nelle modalità di controllo e prevenzione della stessa. Secondo il relatore, l’interesse della popolazione italiana verso questa patologia è andato calando negli ultimi 30-35 anni, a causa della sua bassissima incidenza nell’uomo (<1%). La Leptospirosi, infatti, è una zoonosi, ovvero una malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali all’uomo, e, per questo motivo, il suo riscontro in un allevamento di suini è soggetto a denuncia e istituzione di focolaio infetto secondo il Regolamento di Polizia Veterinaria (D. P. R. 8 febbraio 1954, n. 320), generando un enorme fastidio burocratico negli allevatori coinvolti. Per fortuna, o per sfortuna, la scarsa incidenza di casi umani ha fatto perdere interesse per questa patologia, rendendo però più difficile il suo riconoscimento, il suo trattamento e la sua prevenzione.

Ingrandimento con il microscopio elettronico di batteri di Leptospira alla risoluzione di 0,1 µm (tratta da Wikipedia)
Foto 2: Ingrandimento con il microscopio elettronico di batteri di Leptospira alla risoluzione di 0,1 µm (tratta da Wikipedia)

In generale, la Leptospirosi è una patologia a diffusione globale, che consta di tante sierovarianti, tante vie di trasmissioni e segni clinici riproduttivi confondibili con altre infezioni di tipo riproduttivo (es: PRRS, Parvovirus). La sua resistenza nell’ambiente non è elevata, a meno che non si tratti di ambienti molto umidi, e, per sopravvivere, si instaura all’interno di alcuni animali, selvatici e domestici, definiti ospiti. Esistono ospiti di mantenimento, che richiedono una dose infettante bassa di Leptospira, la quale presenta una bassa virulenza, una lunga escrezione ed è responsabile di mantenere endemica la patologia, con segni clinici non evidenti, ed ospiti accidentali, che richiedono una dose infettante bassa di Leptospira, che in questo caso presenta un’alta virulenza, un’escrezione breve ed è responsabile della formazione di focolai sporadici di malattia, con segni clinici evidenti. Attualmente, il suino rappresenta un ospite di mantenimento per L. Bratislava, che si localizza principalmente a livello genitale causando aborti, parti prematuri, natimortalità elevata e minore dimensione della nidiata, e per L. Pomona, la quale predilige una localizzazione renale causando nefriti interstiziali. L. Hardjo e L. Canicola, invece, sfruttano il suino solo come ospite accidentale.

Mario D’Incau ha poi proseguito la sua relazione illustrando i test diagnostici a disposizione per la ricerca di Leptospira, prediligendo fra tutti il metodo di agglutinazione microscopica (MAT) per la sierologia, pur riscontrando questa delle difficoltà laboratoristiche. L. Bratislava, per esempio, presenta dei profili sierologici molto bassi, anche inferiori a 1:100, che è considerata la soglia di negatività, facendo così risultare negativo un animale in realtà infetto.

Per concludere, il relatore ha affermato che il monitoraggio dello stato della popolazione, la vaccinazione, la terapia antibiotica e l’identificazione dei fattori di rischio sono elementi che, assieme, possono contribuire ad identificare ed eliminare i soggetti affetti da Leptospirosi, al fine di controllare questa patologia, la cui eradicazione non è attualmente praticabile. Il controllo della Leptospirosi è su base volontaria e le motivazioni alla base sono il miglioramento della sanità pubblica e una riduzione delle perdite economiche. Oggi come oggi, inoltre, l’uso degli antibiotici è un argomento sotto i riflettori, e, per questo, la possibilità di prevenire la patologia vaccinando gli animali piuttosto che trattarli potrebbe essere la svolta per una migliore gestione del farmaco e un migliore investimento economico.

 

La TRIPLA protezione verso i problemi riproduttivi

L’ultimo intervento in programma è stato quello del dott. Marco Terreni, il quale ha presentato un vaccino unico e innovativo che consente di proteggere l’allevamento verso tre importanti problematiche riproduttive: Mal Rosso, Parvovirus e Leptospira. Le malattie sono tre, ma si tratta di un vaccino ottovalente, in quanto esso contiene le valenze di Mal Rosso, Parvovirus e 6 diversi serovar di Leptospira. Di più, attraverso la protezione crociata, la protezione indotta dal vaccino si estende anche verso altre 3 sierovarianti di Leptospira, per una protezione complessiva nei confronti di 9 sierovarianti, comprese la L. Bratislava e la L. Pomona, che sono quelle maggiormente importanti per il suino sul territorio nazionale. Lo schema vaccinale di base per le scrofette (Grafico 1) prevede due interventi, di cui quello iniziale da effettuare 6-8 settimane prima della data prevista di fecondazione e quello booster dopo 4 settimane. L’immunità protettiva del vaccino ha una durata di 6 mesi, per Mal Rosso e L. Bratislava, e 12 mesi, per tutte le altre valenze vaccinali. Il richiamo vaccinale è mostrato schematicamente nel Grafico 2.

Grafico 1: Schema vaccinale base
Grafico 1: Schema vaccinale base

Grafico 2: Richiamo vaccinale
Grafico 2: Richiamo vaccinale

Marco Terreni ha poi illustrato i diversi studi sperimentali effettuati prima dell’immissione in commercio. In particolare, gli studi sulla sicurezza del prodotto hanno evidenziato che questo vaccino non provoca reazioni sistemiche o reazioni locali significative, come anche non causa aborti o anomalie congenite nella progenie quando utilizzato in gravidanza.

Sono stati poi mostrati i risultati degli studi di efficacia in campo, condotti in allevamenti con problemi di Leptospirosi, nei quali l’impiego di questo vaccino ha comportato un calo drastico degli aborti, un maggior numero di nati vivi e un minor numero di nati morti.

Da oggi è quindi possibile allargare lo spettro protettivo delle vaccinazioni effettuate in scrofaia, facendolo in maniera sicura e comoda per l’allevatore, grazie alla possibilità di adottare la vaccinazione a tappeto senza particolari rischi per gli animali gravidi e in lattazione.

Il relatore ha concluso parlando del feedback ricevuto dai Paesi esteri che hanno già iniziato a impiegare questo vaccino, come la Spagna ed in particolare la Danimarca, nella quale la vaccinazione per Leptospira rappresenta una valida alternativa all’uso degli antibiotici.


Dott.ssa Giusy Romano
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